La crescita economica rallenta ma le politiche attive fanno fatica.
Nel primo trimestre 2025 l'economia italiana ha registrato una crescita del Pil pari allo 0,3%, meglio di Francia (+0,1%) e Germania (+0,2%), ma peggio della Spagna (+0,6%). Nonostante questo modesto risultato, l'occupazione ha mostrato un andamento positivo, con un aumento dello 0,9% rispetto al trimestre precedente, corrispondente a 224mila occupati in più.
A marzo 2025, tuttavia, si è registrata una battuta d'arresto: gli occupati sono diminuiti di 16mila unità, portando il totale a 24 milioni 307mila. Il calo ha riguardato principalmente le donne e i lavoratori sotto i 35 anni. Dal punto di vista contrattuale, diminuiscono sia i dipendenti a termine che gli autonomi, mentre crescono i lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Il tasso di occupazione resta comunque stabile al 63,0%. Il mercato del lavoro è ancora capace di attrarre persone precedentemente inattive, ma lo scenario dell’immediato futuro è condizionato dai dazi americani. Il Fondo Monetario Internazionale prevede una decelerazione del Pil mondiale nel 2025 (+2,8% contro il +3,3% del 2024), con una moderata ripresa solo nel 2026 (+3,0%) Il clima di fiducia delle imprese ha registrato la terza flessione consecutiva ad aprile, coinvolgendo tutti i quattro principali settori economici. La fiducia dei consumatori è in diminuzione. Ad aprile, infatti, le attese sull'occupazione sono peggiorate principalmente nel settore manifatturiero e, in misura minore, in quello delle costruzioni, dei servizi e del commercio al dettaglio.
Considerando questi fattori, è ragionevole attendersi un rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro nei prossimi mesi.
Il mercato del lavoro italiano mostra una limitata capacità di generare occupazione di qualità in assenza di una solida crescita. E qui servirebbe una politica del lavoro che funziona.
INAPP nel suo rapporto 2024 ha indicato i problemi del programma GOL, il principale investimento del PNRR in politiche attive (5,4 miliardi):
- solo il 51,7% degli individui presi in carico ha effettivamente avviato o concluso una politica attiva;
- solo il 18,8% dei casi ha partecipato ad attività formative, nonostante il 75,2% dei presi in carico dichiari interesse per tali attività;
- il 10,5% dei soggetti ha fatto un tirocinio.
INAPP elenca anche le cause:
- rigidità nel disegno e nella governance del programma, come la suddivisione a priori dell'utenza in percorsi predefiniti;
- carenza di personale nei Centri per l'impiego che ha limitato la capacità di gestire l'utenza;
- insufficiente coinvolgimento degli operatori privati già dalla fase di programmazione.
Certo ci sono aspetti positivi: per la prima volta le politiche attive hanno superato come partecipazione quelle passive basate sui sussidi, ma la rigidità dei processi resta forse il problema più rilevante.
Se non ci fidiamo della prima linea, le persone che accolgono quelli che cercano lavoro, e non restituiamo loro capacità di personalizzare e responsabilità su risorse e decisioni, non riusciremo certo a migliorare performance e risultati. Non è a colpi di LEP e di tools per la profilazione e il matching automatico che possiamo aiutare le persone a navigare nella complessità del mercato attuale. Tantomeno riusciamo ad attirare inattivi e scoraggiati a tornare al lavoro: forse è questo il principale scoglio al raggiungimento delle medie europee di occupazione. Se anche la valutazione delle politiche resta in buona sostanza ancorata all’analisi di processo, difficilmente riusciremo a capire quali punti migliorare. Potrebbe incominciare proprio INAPP che invoca giustamente un cambio di paradigma.